Luca Di Bartolomei: «Io, Ago e Salerno»
Di Luca Di Bartolomei – La prima volta che seguii Agostino in un allenamento fu a Milanello. Berlusconi era arrivato da poco e subito aveva deciso di ristrutturare completamente il centro sportivo installando molte attrezzatura all’epoca futuristiche. Ne ricordo una in particolare che serviva a decomprimere le articolazioni e la colonna vertebrale: dopo aver agganciato il calciatore all’altezza delle due caviglie questi veniva ruotato di 180 gradi finendo sottosopra. Ricordo esattamente l’effetto “wow” che fece su di me appena la vidi in azione. Comunque la si pensi sull’uomo, a Berlusconi va riconosciuto che nelle sue attività si è sempre rivolto a professionisti e fornitori di prim’ordine. Quando in seguito mi capitò di seguirlo negli allenamenti a Cesena quelle innovazioni viste con gli occhi sbalorditi di un bambino iniziarono a diventare normali mentre sulle macchine da potenziamento e distensione si leggeva un nome – quello di Technogym – che avrebbe cambiato il concetto di esercizio fisico in tutto il mondo.
Il mio racconto, quello che provo e quello che ho vissuto, a riguardo Salernitana-Roma nasce quindi molto prima di quanto potreste immaginare. In fondo ero solo un bambino e tutti quelli che erano i miei ricordi di calcio allora non potevano che essere legati al lavoro ed ai luoghi di lavoro di Ago. E a Salerno tutto sarebbe stato diverso; anche per me che stavo crescendo. La squadra si allenava e giocava in un unico impianto intitolato al fondatore del primo football club di Salerno, Donato Vestuti. Lo stadio con circa 9000 posti a sedere ha un ingresso a dir poco scenografico e una architettura fascista che ricorda più certi complessi abitativi del quartiere Italia che la grandiosità dell’Esposizione Universale. L’ingegnere che lo progettò intorno al 1930 decise per una soluzione urbanistica coerente con la narrazione del tempo ponendo l’impianto al centro della città, una soluzione che se 30 anni fa sembrava una cosa vecchissima, oggi si è ritenuta incredibilmente moderna.
Ricordo che una delle prime volte che accompagnai Agostino per gli allenamenti mentre stavamo ritornando in auto verso la casa dei nonni che si era ingrandita per accoglierci tutti, presi coraggio e gli chiesi: «Papà perchè sei voluto venire a Salerno?». Gracchiando con la voce nasale che si trovava mi rispose che c’era l’essenziale: vivere davanti al mare gli piaceva, potevamo andare in barca a pescare e che poi quel campo misto d’erba e terra gli ricordava il primo rettangolo di gioco, quello dell’Omi a Tor Marancia. Non avevo dieci anni e lui mi disse rettangolo di gioco.
Agostino era così: talmente fuori dal tempo delle cose da diventare serissimo quando parlava con un bambino, usando poi non curanza quando c’era da parlare fra adulti. Sembrava arroganza mentre era solo imbarazzo. Riveder “lavorare” Agostino quindi, in un campo ed in una realtà molto diversa da quelle che avevo percepito in precedenza, fu sicuramente la prima cosa che mi colpì.
Salerno era città molto diversa da quella meraviglioso che è diventata e che mi auguro abbiate il tempo di visitare. Alla vigilia dei mondiali italiani questo capoluogo del Sud era un grande paesone grigio ripiegato su sé stesso, allora noto più alle cronache quotidiane per il parco di Mercatello dove una mattina sì ed una no si andavano a recuperare i corpi di giovani ragazzi falciati dall’eroina. Alla fine degli Anni 80 Salerno era un posto che si dava poche speranze ma conteneva un’umanità magnifica.
La seconda volta che andai con Ago a Salerno per gli allenamenti capitò sotto Natale e faceva uno di quei freddi che ti entrano nelle ossa: uno di quelli che solo chi ha vissuto in posti di mare conosce. Quel pomeriggio dopo aver salutato tutti prendemmo Antonio (il magazziniere factotum che seguiva Ago e soprattutto badava a che io non facessi disastri) e andammo in auto fino a Via Volontari della Libertà dove nel retrobottega di un negozio di elettrodomestici due tifosi che avevano un piccolo laboratorio di fuochi d’artificio ci riempirono letteralmente l’auto di esplosivi.
Immagino che stentiate ad immaginare Agostino così felicemente superficiale eppure ci sono molte persone di Castellabate sui social che possono confermare quanto scrivo. E quanto il giorno dopo Capodanno la piazzetta di San Marco fosse ancora invasa dai resti di petardi di varia foggia. «Perché mi fai questa domanda? Non ti piace qui?». Ecco perché sono partito da Milano e Cesena.
Agostino ha dato il massimo ovunque abbia lavorato cercando di essere un professionista in ogni fase della sua carriera. Ma a Roma e Salerno credo che per lui sia stato diverso. E questo è più o meno tutto quello che so della partita di domenica…