Il grande bluff su Cristiano Ronaldo
Di Fabrizio Pastore
Un due tre. Nemmeno il tempo di girarsi e la stella non c’è più. Il commiato di Ronaldo alla Juve nell’aria da mesi si consuma alla fine in poche ore. E ha il sapore acre di un’indifferenza difficile da metabolizzare. Roba da incrocio fugace, da tresca estiva. Talmente poche le ore, da assistere alla consueta esibizione mediatica dei tripli carpiati. All’indietro. Fra 26 e 27 agosto tutti capaci di passare con estrema disinvoltura dall’affresco surrealista di Guardiola (e del City di stampo catalano) che accoglie a braccia aperte il nemico atavico, a CR7 che il mattino successivo saluta senza moine la solare Torino (cit.) e viene ufficialmente annunciato dallo United. Nel mercato dell’addio di Messi al Barcellona e dei fantastilioni di Florentino per Mbappé a poca distanza dall’aborto di Superlega e dai relativi pianti su miserie imminenti, nulla di particolarmente sconvolgente. Si va per iperbole ovviamente, ma curriculum del giocatore, disponibilità e blasone dei Red Devils e reciproche ambizioni, fanno rientrare l’operazione nell’ordine naturale delle cose. Soltanto che l’ordine naturale in Italia è juvecentrico e i toni dimessi quando si tratta di casa Agnelli non sono contemplati dalla grancassa. Come uscirne allora? Semplice. Capovolgendo l’intera narrazione di tre anni, scoprendo l’evidenza con mille e passa giorni di ritardo, trasformando l’esaltazione in demolizione.
L’alieno che avrebbe dovuto far diventare non solo la Juventus ma l’intera Serie A un posto migliore per noi comuni mortali; rendere ingiocabile anche in Europa una squadra già bulimica in patria; ripagarsi da solo tramite le magliette vendute i 300 milioni di spesa (sì, è stato detto sul serio); ecco, costui è diventato all’improvviso uno che «ha preso molto più di quanto abbia dato». La carica dei 101 gol si è repentinamente trasformata in scarica. E per la serie “Stephen Hawking era un dilettante”, bentornati sul pianeta terra a tutti coloro che si affannavano a giustificare le figuracce con Ajax, Lione e Porto e all’alba del 2021-22 si accorgono di un dato sensazionale: zero Champions, uguale fallimento. Chiaramente solo di Ronaldo, mica del club. Che anzi è vittima dell’ineleganza, dell’avidità e dell’egoismo di questo cattivone spacca-spogliatoio; primadonna mal sopportata da compagni e tecnici; che non solo in un triennio non si è degnato d’imparare una parola d’italiano (aribentornati), ma adesso addirittura scrive refusi nei post d’addio. Una vera vergogna, insomma. Tanto da far rivalutare il fuggitivo Marotta dell’epoca e da rispolverare tutte quelle magagne sapientemente occultate o tenute in un angolino e ora magicamente riesplose in differita: vicende giudiziarie per il presunto stupro, quarantene e zone rosse violate, gestacci verso gli avversari. Niente più righelli virtuali per osannare i gesti atletici, soltanto funeree espressioni per stigmatizzare l’ammazza-sogni dei bambini (detto anche questo, davvero). Il grande bluff è scoperto. Dalle migliaia di spunti ai mesti spuntini, dopo le pantagrueliche abboffate. Perché «tengo famiglia» non si dirà più, ma è sempre l’esigenza più diffusa. Da licenza media, più che mediatica.