Dediti alla causa: il gruppo viene prima dei singoli
Sette gol in sette giorni, la porta di Rui Patricio inviolata e soprattutto tre vittorie consecutive, sfociate nel passaggio del turno in Conference League e nel consolidamento del quinto posto in Serie A, a tre sole lunghezze dalla zona Champions. Sarebbe stata una settimana della rinascita da manuale per la Roma, se non fosse stata macchiata dall’infortunio di Lorenzo Pellegrini. La sua partita contro il Torino è durata poco meno di un quarto d’ora, quando è stato richiamato in panchina da Mourinho dopo essersi accasciato al suolo per un dolore muscolare. Il Capitano è uscito dal campo tenendosi la coscia destra. Niente “ricaduta” per il ginocchio dunque, la cui infiammazione lo aveva fatto rientrare in condizioni non perfette. Ma se possibile un guaio peggiore. L’ecografia svolta ieri dal numero 7 ha evidenziato una lesione al quadricipite, quantificabile in un’assenza non breve. Probabilmente fino all’inizio del prossimo anno solare, ovvero dopo la sosta natalizia.
Nello stesso periodo la Roma sarà impegnata in sei match, i cinque di campionato fino al termine del girone d’andata e quello di coppa che può ancora valere il primato del girone. Già le prossime due sfide alzano il livello di difficoltà: prima la trasferta a Bologna, poi lo scontro con l’Inter campione in carica e rientrata prepotentemente nella lotta-scudetto. Un peccato affrontare il tour de force dicembrino senza uno degli elementi più rappresentativi, proprio mentre gli altri infortunati di medio corso sono quasi tutti rientrati (all’appello manca soltanto Spinazzola). Eppure questa squadra ha già mostrato di saper sopperire alle difficoltà col carattere. E sono proprio le partite disputate al rientro dall’ultima sosta a certificarlo. Senza esterni sinistri di ruolo; con due centrali convalescenti; col centrocampo menomato prima dalle positività al Covid di Cristante e Villar, poi anche dalla squalifica di Veretout, tutti hanno lanciato il cuore oltre l’ostacolo. Tutti hanno abbandonato le rispettive comfort zone per mettersi al servizio della causa comune. A partire da Mou, che ha adattato il modulo ai (pochi) giocatori a disposizione. Karsdorp, Mancini, Ibanez e Abraham sono stati chiamati agli straordinari. Zaniolo è tornato a sprigionare forza e talento, mettendo a tacere coi fatti qualsiasi illazione. El Shaarawy, Mkhitaryan e Perez si sono sacrificati cambiando ruolo e risultando sempre fra i migliori. Il Faraone in particolare è il simbolo di questo spirito di abnegazione: esterno a tutta fascia, dedito alla fase difensiva come un terzino puro. Anche a costo di pagare dazio in termini realizzativi. Vero e proprio esempio di altruismo, Elsha ha anteposto il collettivo alla gloria personale. La cresta giusta.