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Interviste - 23/03/2022

Conti: “Mancio, per te è un gioco da ragazzi”

In occasione della pubblicazione della sua nuova autobiografia “Un gioco da ragazzi”, che sarà presentata il 25 marzo al teatro Manzoni, Bruno Conti si è raccontato a Il Messaggero. Tra i tanti temi, ha parlato inevitabilmente della Roma e della sua vita dedicata interamente al calcio. Di seguito uno stralcio dell’intervista:

La Nazionale è impegnata nelle qualificazioni per il Mondiale. Non sarà un “gioco da ragazzi”, vero? “No, le partite vanno sempre giocate per renderle facili. Ma io sono convinto che non ci saranno problemi.

Come mai questo ottimismo? “Perché conosco Mancini, ho visto, come tutti, l’Italia all’Europeo e quanto ci ha fatto divertire, ha valori tecnici di livello. Un gruppo unito”.

Ecco, il gruppo. Lei ne sa qualcosa: nel 1982 avete dimostrato che con quello si può arrivare a grandi successi… “Sì, senza dubbio, è la base dei successi. E Mancio in questo mi ricorda Bearzot. È stato bravo Roberto, a inserire Vialli, De Rossi, tutta gente capace di fare gruppo, di trasmettere i sentimenti che la maglia azzurra ti dà. Uno staff azzeccato, quello è il segreto del successo. Io sono ottimista”.

Andare a giocare in Portogallo non sarà semplice, però. “Intanto pensiamo alla Macedonia. E poi questa Italia ha vinto a Wembley, non avrà paura di giocare a Porto o in Turchia”.

Come spiega questo calo dopo l’Europeo vinto? “Succede. È successo anche a noi dopo la vittoria in Spagna”.

Non andare al Mondiale sarebbe… aggiunga lei l’aggettivo giusto. “È un qualcosa che non prendo in considerazione. Questa è una maglia pesante, i ragazzi hanno dimostrato il carattere e la bravura, non si faranno influenzare da vecchie paure”.

Al di là della vittoria mondiale, quale momento azzurro porta con sé? “La prima convocazione, contro il Lussemburgo. Davanti a me c’erano mostri sacri come D’Amico e Causio. Vincenzo ha risposto male a Bearzot, che lo voleva far giocare a destra mentre lui sosteneva che nella Lazio giocava sempre a sinistra, e si è fatto fuori: il Barone pian piano sono riuscito a scavalcarlo con le prestazioni e poi lui era stato anche espulso e dalla Danimarca in poi giocai io”.

Lei è tra i pochi romani/romanisti ad aver vinto un Mondiale… “Si, ora spero tocchi a Pellegrini. Ma al di là dei romani, è un augurio che faccio come italiano. In questi momenti difficili bisogna essere uniti. La Nazionale è anche unione”.

Oggi ci sono meno sorrisi nel calcio, no? “Si sono persi i valori. Non dico sia migliore un’epoca rispetto a un’altra. La vita si evolve, va avanti. Ora ci sono gli algoritmi, è tutto molto più freddo. Si è perso lo spirito del gioco, il nostro era un calcio più semplice. Ci si divertiva di più”.

Se la Roma non fosse esistita, in che squadra le sarebbe piaciuto giocare? “La Roma è stata la mia vita, ma non nascondo che per il Napoli di Maradona un pensiero l’ho fatto. Napoli era l’ideale in quel momento. Ma sono contento cosi”.

Infatti sono 50 anni di Roma… “Ho fatto tutto nella Roma, per me è la vita. Non ho mai detto di no. Ho dato la mia vita, e ho ricevuto tanto in cambio”.

Il primo giorno nella Roma, lo ricorda? “Non lo dimenticherò mai. Nel ’74 mi ero trovato da un cugino di mia moglie, a Lavinio, e c’è una foto famosa, in cui sono con Giordano, Di Bartolomei, Di Chiara, a testimoniarlo. In quell’occasione avevo conosciuto Agostino, durante una partita di calcetto. Poi quando sono andato a Trigoria è stato proprio lui ad accogliermi, a indirizzarmi. Mi è sempre stato vicino. Ago, il mio capitano. Un esempio ancora oggi, per tutti, come lo è stato Scirea. Se ne sono andati troppo in fretta”.

Se tornasse indietro cosa non rifarebbe? “Abbandonare la scuola. Ho smesso in quinta elementare per lavorare, prima come muratore e poi in un negozio come commesso. E se non fossi andato bene con il calcio? Una scappatoia serve sempre e quella te la dà solo la cultura, gli studi. Quando dovevo affrontare i giornalisti avevo paura e a Genova avevo fatto le scuole serali. Non sapevo parlare, facevo fatica, mi sentivo inadeguato, cercavo sempre di nascondermi. Perciò, ai giovani che ho con me nella Roma ricordo sempre di divertirsi con il calcio, ma di non trascurare lo studio, che prima o dopo tornerà sempre utile”.

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