Non una parola che non sia d’amore
Di Tonino Cagnucci – La verità è che pure ieri era importante. La verità è che pure una partita che sembra così piccola rispetto all’eterno che c’è mercoledì se sei della Roma ti dà emozione e se dici «va be’ in fondo conta solo l’altra» lo fai solo per esorcizzarti una eventuale delusione. E se è vero che l’altra, mercoledì, Tirana, il 25 maggio, la Conference League vale tutto (perché quello vale) non era vero che questa non valeva niente. In un colpo solo ieri hai migliorato i punti dell’anno scorso, 63 a 62, il piazzamento in campionato, quinti o probabilmente sesti, ma sicuramente non settimi a 16 punti dal quarto posto e a 15 dal quinto, a pari merito col Sassuolo per differenza reti (anzi nemmeno per quella, ma solo per i gol fatti di più), senza considerare i 10 punti almeno che ti hanno negato gli arbitri e senza mettere sul piatto il 3-0 enorme e scolpito sulla Lazio del 20 marzo.
La verità è che solo Tirana valeva più di ieri, perché con i 3 punti ti sei preso una dimensione più giusta per quello che hai fatto e per l’amore scambiato fra la piazza e il suo allenatore. La verità è che da dopo l’1-1 col Venezia – che qui si è giocata la Coppa dei Campioni e il Mose – c’erano tanti coi loro ghignetti e la bavetta alla bocca che non vedevano l’ora di dirti il contrario di quello che invece qualsiasi romanista sente di dire dopo una vittoria della Roma: «Mourinho ha fatto meno punti, la Roma è arrivata ottava, la Roma è fuori dall’Europa…». E invece no. E invece, pensa, no. Invece proprio no. Senza pesare poi una Coppa Italia finita ai quarti solo in casa dei Campioni d’Italia e non per 6 sostituzioni agli ottavi contro lo Spezia.
Nessun riferimento a Fonseca che resta un gran signore e per me un signor allenatore (che ha lavorato in un momento difficilissimo), ma solo un modo per preservare da critiche senza senso, invidie, meschinità, bavette alla bocca tutti quelli che dal 5 maggio 2021 (il giorno dopo l’Avvento) hanno cominciato per fenomenite, spirito di parte o magari pure perché sinceramente convinti, a minare la figura di Mourinho. E qui non è nemmeno un discorso sul tecnico che ha vinto 25 titoli, che per forza di curriculum e di logica devi non solo far lavorare ma affidargli più o meno tutto, ma perché già da quando è arrivato si era messa in discussione una cosa che invece non è mai discutibile: l’amore. Mourinho e la Roma stanno facendo l’amore.
Quello che è capitato quest’anno, lo stadio col Bodø, col Leicester, lo stadio sempre, quello con la Salernitana, il Bologna, il Venezia, lo stadio sempre, la corsa col Sassuolo, le lacrime persino le lacrime (a quelle ci avete creduto?), le parole persino le parole (quel signore ha detto proprio dopo Inter-Roma a San Siro che «Roma è casa sua») sono le immagini, le parole, le lacrime di una fantastica storia d’amore. Noi quella stiamo vivendo, noi che la Roma l’abbiamo sempre vissuta così e che abbiamo questo unico schermo alla lunga emozione che esploderà mercoledì: viverla da romanisti. Perché è così che ci siamo arrivati: senza pensare un pensiero che non sia per la Roma. Senza dire una parola che non sia d’amore.