Salvate il soldato Bryan
Di Alessandro Carducci – C’era una volta un giocatore bistrattato da tutti. Non ha la vena di De Rossi, lo stile cool di Nainggolan né la prestanza fisica (e il blasone) di Matic. Sembra bravo, buono, il tranquillone del gruppo, quello che dove lo metti sta, quello che gli dici fa e porta a casa la giornata.
LEADER – In realtà, il povero Bryan Cristante è uno dei pilastri della Roma allenata da uno degli allenatori più vincenti della storia. E lo è con merito. Canta e porta la croce, senza eccessi ma facendosi sentire in campo, tirando fuori tutta la grinta e la determinazione che ha in corpo. Un finto soldato semplice che, in campo, si trasforma in leader di fatto. Richiama tutti alle proprie posizioni, indica chi deve stare dove, chi e quando deve muoversi. Un direttore d’orchestra che non sta fermo a organizzare ma è il primo a spalare il fango, quando serve.
PRESSIONE – È tra i primi ad andare in riaggressione, infatti. Anzi, è il quinto in Serie A per numero di riaggressioni, in una squadra che non fa del contropressing (o gegenpressing, come preferite) la sua arma principale. Eppure, senza farsi notare, quando c’è da premere lui sta lì ad aggredire l’avversario. È il primo nella Roma nel recupero di palloni in zona offensiva ed è il calciatore più falloso tra i giallorossi, il quinto in Serie A.
IMPOSTAZIONE – Oltre a distruggere, Cristante prova a far girare il pallone con intelligenza. Non ha la qualità di Xavi, è ovvio, ma con il suo calcio lungo in verticale forte e preciso spesso mette in porta i propri compagni. Sovente, lo si vede effettuare cambi di campo precisi per l’esterno sinistro giallorosso. Il vero e proprio regista della Roma (in coppia ora con Matic), che cerca sempre la giocata per superare una linea avversaria e far avanzare la squadra e non è un caso se è primo nella Roma per passaggi chiave tentati a partita, cioè quelle verticalizzazioni che smarcano un proprio compagno superando almeno una linea avversaria.
Crea e distrugge, fa e disfa, a volte bene, a volte meno bene. Gioca sempre e così, talvolta, non riesce ad avere la stessa brillantezza in ogni partita ma si tende, spesso, a non perdonarlo, a giudicarlo inadeguato, inadatto, costituendo un capro espiatorio quando le cose vanno male. Eppure, quando manca la situazione non migliora, non si accende una luce, non si illumina il terreno di gioco. Qualcosa vorrà dire. E Mourinho, questo, lo sa.