Le cose dette e non dette dal mister.
Non è normale, scrive Mimmo Ferretti, che un allenatore divida la rosa della propria squadra in lato A e lato B. Non è normale e (probabilmente) non è neppure giusto che lo faccia. Non è normale, non è (probabilmente) giusto e non è (non può esserlo) nemmeno casuale, però, che si arrivi a spaccare una squadra in due. E che, quindi, si tracci un solco così profondo tra Buoni e Cattivi. Tra Giusti e Sbagliati. In casi come questi, la faccenda è assai complicata. E molto grave.
Se José Mourinho, non l’ultimo degli allenatori partoriti dalla scuola di Coverciano, non perde (non l’ha mai persa, a dire il vero) occasione per annunciare al mondo che nella Roma ci sono soltanto tredici o quattordici calciatori degni di tale professione, e che tutti gli altri non gli servono, il problema per la Roma stessa è gigantesco. E non esclusivamente di matrice tecnica. Si può pensare che Mou stia mettendo le mani in avanti. Oppure che sia soltanto estremamente realista e sincero. O ancora che stia gettando la croce addosso ai giocatori per proteggere la propria immagine. Tutto è plausibile dopo la storica figuraccia rimediata in casa del Bodø. Al di là dello sdegno per l’indegna mazzata, però, dovremmo chiederci: come è stato possibile, nonostante tutto, beccare sei gol da quegli avversari? E la risposta non può che chiamare in causa tutti. Cioè chi la Roma l’ha costruita, chi la compone e chi la allena. Troppo facile, troppo comodo riassumere il tutto mettendo sul banco degli imputati solo quelli del lato B.
Nessuno si era illuso che la rosa della Roma fosse completa e affidabile al cento per cento in ogni reparto; nessuno, però, si sarebbe mai immaginato che, nonostante questa rosa, la Roma non sarebbe stata in grado di evitare l’horror norvegese. Ha ragione Mou quando sottolinea la mancanza di qualità/quantità, cioè di giocatori adatti ai suoi principi di gioco, ma tra i compiti di un allenatore c’è anche quello di addestrare, migliorare i giocatori considerati (da lui) scarsi. Sennò è troppo facile prendersela con chi non ti ha garantito Messi e Cristiano Ronaldo o chi non sarà mai come questi due. Il portoghese non può fare miracoli (nessun allenatore li fa), ma non può nemmeno esimersi dal tentare di costruire qualcosa di decente attraverso quelli che lui considera di serie B. Gente che, dopo il post partita di Bodø, per forza di cose ora si sente ancor più ai margini della Roma. Come dargli torto? Del resto, ascoltare il proprio allenatore affermare «adesso avete capito perché giocano sempre gli stessi», è stata la certificazione che chi sta fuori non gode della minima considerazione. Che non serve. Che è inutile. E chi non aiuta, si sa, fatalmente danneggia.
Mou, considerato maestro di comunicazione, può aver (reiteratamente) toppato in maniera così grossolana la strategia dialettica? Il tempo e la cronaca ci racconteranno cosa voleva realmente dirci, e non ci ha detto, il portoghese la notte della vergogna di Bodø.