Che l’amore non diventi alibi, ma stimolo e responsabilità
“Ci sono i tifosi di calcio e poi ci sono i tifosi della Roma”. Agostino Di Bartolomei un giorno delineò per sempre un solco tra i tifosi di tutto il mondo e quelli che avevano a cuore le sorti della squadra giallorossa. Passione, presenza e partecipazione mai seconde a nessuna tifoseria, scrive Andrea Di Carlo, ma anzi sempre e comunque a far da riferimento per tutti. E ieri sera l’ennesima dimostrazione di un amore viscerale che non conosce vincoli e limiti: oltre 10 minuti dove la Curva Sud ha accompagnato la melina nerazzurra con un tifo incessante, a tratti commovente. È stato un tema nel post gara, da Mourinho a Tiago Pinto, moltissime testate hanno sottolineato l’evento, ma attenzione a strumentalizzare l’amore, a cambiargli forma, a renderlo l’alibi perfetto.
Perché quanto visto ieri sera non è “merito” di nessuno. Di una vittoria, di un allenatore, di un presidente, di un giocatore, di un evento in particolare. Quanto visto ieri è semplicemente la più pura forma d’amore che si possa provare verso una squadra di calcio, un inno all’appartenenza e alla dipendenza, sana, nel tifare la propria squadra del cuore. Quella presenza, così anacronistica, quella passione, quell’urlo nella notte dell’Olimpico rimanga nella sua forma originale, non gli si cambi forma.
Non diventi alibi, pretesto per rimandare o sfuggire da certe responsabilità, prova di condivisione e supporto.
Chi è della Roma ci sarà sempre, a cantare nelle notti più dure, a cantare negli stadi più scomodi e a raggiungere i punti più lontani dalla Capitale, dal 1927 ad oggi. E questo non cambierà in base ai risultati, alle prestazioni o ai personaggi: tutto passerà, quell’amore resterà lì, al suo posto, imperturbabile. Che non diventi una concessione di tempo, perché lui stesso lo allontana come concetto, abbracciando l’eternità, dandogli forma solo per essere tramandato, di generazione in generazione. Non intrappolatelo in freddi numeri e statistiche: erano 51mila, avrebbero potuto essere 510mila o 5 milioni. Erano lì per la Roma.
Che diventi invece direzione e punto di riferimento, unità di misura della grandezza e dell’ambizione, unico approdo possibile per cambiare rotta e avvicinarsi alla bellezza di quanto visto sugli spalti. E quando si riuscirà a raggiungere quel livello di perfezione, la storia cambierà. In campo, perché in curva li troverete sempre lì, al loro posto.
“Ale Ale Ale Roma Alè”.