Friedkin, è tempo di far rumore
Di Francesco Balzani – Prendete un regista di film d’azione, quelli pieni di adrenalina e battute all’americana dove se sbagli “sei fritto” . E mettetelo a dirigere una commedia nemmeno troppo brillante dove non ci si abbatte per una caduta, anzi a volte si sorride pure. E’ quello che sta accadendo a Mourinho in una Roma che non può permettersi attori di primo livello, ma per ora nemmeno di secondo. Un ibrido, una discrasia che evidenzia la poca conoscenza dei Friedkin del calcio. Perché se assumi Mou a maggio non puoi aspettarti che in 7 mesi non sbotti se gli presenti una rosa da settimo posto. Questo la Roma vale, da due anni. Sette, come i minuti in cui la Juve ha distrutto il sorriso di Dan e Ryan in tribuna. Presenti, come sempre. Ma non basta la presenza. In tutti i sensi. Serve avere coscienza della realtà. E’ vero la Roma ha speso più di altri in estate, ma partiva molto indietro rispetto ad altri. E quei soldi li ha spesi quasi tutti male come aveva fatto nelle precedenti finestre di mercato: Kumbulla, Reynolds, Vina e Shomurodov oggi non sono titolari. No, nemmeno Vina vista l’assenza di Spinazzola.
Oltre 60 milioni buttati, o quasi. Mentre restavano inascoltati gli appelli di Mourinho sulla necessità di prendere gente di personalità come Xhaka o Sergio Ramos. Molti li ha spesi male Tiago Pinto, altra figura nel mirino. Una scelta nata dopo tanti colloqui ma figlia di quale esperienza? Il portoghese si impegna, è sicuramente un grande lavoratore. Ma non ha conoscenza dei meccanismi di questo campionato, e non ha mai fatto il direttore sportivo. Agli errori di Monchi e Petrachi si stanno aggiungendo i suoi. E questo la Roma non doveva permetterselo. Perché i conti sono un disastro. Se ne sono andati Scalera e Fienga, i motivi non sono noti. Un anno di figuracce, retromarce, dubbi: dal mancato esonero di Fonseca alla gestione del caso Dzeko passando per sconfitte a tavolino e rivoluzioni solo paventate. Non può permettersi questa Roma nemmeno di restare in silenzio. Perché quella che sembra autorevolezza ora somiglia più ad imbarazzo. Nel senso: non parlo, perché in fondo non so che dire. Far parlare i fatti è sicuramente un modo. Ma se escludiamo il 4 maggio di fatti se ne vedono pochi. Il progetto sostenibile è un concetto trito e ritrito, fatto anche dalla precedente gestione che almeno sul ponte di comando aveva messo due come Baldini e Sabatini. La sensazione è che i Friedkin siano come quei miliardari americani che sbarcavano a Roma negli anni della Dolce Vita. Che percorrevano via Veneto attratti dall’atmosfera e dalle offerte di una capitale bellissima. Ma oggi di dolce non c’è più nulla in questa città. C’è l’amaro di figuracce, anni senza trofei, bambini che si allontanano dalla propria squadra. Ora è il momento di fare sul serio. Perché come scriveva Jean Paul Sartre “ogni parola ha conseguenze. Ogni silenzio anche”.