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Interviste - 27/05/2022

Falcao: “Coppa meritata. Quanto mi sarebbe piaciuto esserci…”

“Anche se sono passati più di 40 anni, il mio legame rimane lo stesso. Per la città, la squadra e la gente“. Sono le parole che Paulo Roberto Falcao pronuncia ai microfoni de Il Messaggero (U. Trani), dopo la conquista della Roma della Conference League.

Come ha vissuto la serata di Coppa?
In diretta tv e anche… dallo stadio in Albania. Il mio amico Marco mi ha inviato via WhatsApp le foto del nostro trionfo. Pellegrini con la coppa, la tifoseria impazzita di gioia, la commozione di Mourinho. È come se avessi seguito la squadra in trasferta, in tribuna pure io. So che la città non ha dormito.

E per il day after, la gente è tornata al Circo Massimo per applaudire la Roma. Che cosa le viene in mente?
Almeno mezzo milione di persone in strada per il nostro scudetto. Sempre lì. Mai più visto niente del genere.

È stato tra i primi a benedire la scelta dei Friedkin di puntare su Mourinho. Da che cosa nasceva la sua convinzione?
Quando ho saputo che sarebbe arrivato José, ho detto subito: torneremo in alto. A vincere. Perché il successo, da sempre, gli cammina al fianco, è così dall’inizio della sua carriera di tecnico. Quando c’è lui, è automatico il rispetto. Lo riceve proprio per il suo palmarès eccezionale. Che coinvolge i giocatori e, come avete visto, i tifosi. E gli avversari. Unico.

Mou, a furor di popolo, è il testimonial della svolta per il club giallorosso. Se torniamo all’agosto dell’80, il suo sbarco cambiò la mentalità della Roma. La storia, 42 anni dopo, si ripete?
I paragoni non li ho mai fatti. È passato tanto tempo dal mio arrivo e io venni da giocatore. Ma arrivai per vincere con la Roma. Quello che ha fatto Mourinho. Un leader. Se lo sono stato anch’io non me lo posso certo dire da solo….

Anche Mou, nei momenti di difficoltà, ha caricato la piazza e la squadra. Ha messo certezze sul tavolo, cancellando i timori. È successo prima del ritorno con il Bodo Glimt e con il Leicester. E prima di andarsi a prendere la coppa a Tirana contro il Feyenoord. Pure lei, mettendoci la faccia, trascinò la Roma allo scudetto. Ricorda?
Quando all’Olimpico ci rimontò la Juve, dall’1-0 all’1-2, avvicinandosi in classifica. Chiesi a Pato di chiamare Minoli per partecipare a Mixer. Io non partecipavo mai a programmi televisivi. Ma quello era il momento. Dovevo dire qualcosa alla gente. Era in ansia. Ho garantito in prima persona che credevamo nello scudetto. La domenica successiva vincemmo a Pisa. Fu il successo decisivo per il titolo.

Tutto studiato?
Mourinho ragiona da vincente. Lo ha dimostrato con il Porto e con tutti i suoi club. E a quello che dice crede sul serio. Ma non sono parole. Quelle contano poco e non servono a niente. A parlare è il cuore. Il suo. L’Olimpico sempre sold out è la conferma del suo ascendente.

E come valuta l’allenatore?
Una squadra dipende sempre dai giocatori. Mourinho, però, li migliora. E sa come deve essere il rapporto con loro. Ho sentito parlare il mio connazionale Ibanez. Ha spiegato che il tecnico fa battute, ma quando c’è da lavorare, diventa tosto e pretende il massimo.

La Roma di Tirana che cosa le ha lasciato?
Una solidità difensiva impressionante. Con cinque giocatori. Bravissimo poi Rui Patricio. E fantastico il gesto tecnico di Zaniolo. Ho però un debole per Abraham. Mette paura. Fisico e qualità.

E adesso?
Tocca ai Friedkin. Devono seguire Mourinho che ha subito conquistato un trofeo. I giocatori fanno sempre la differenza. Va bene festeggiare, ma non c’è tempo da perdere. Bisogna allestire una squadra da scudetto. È la svolta… buona.

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