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Vecchia Roma - 17/08/2021

Addio Gerd Müller, prototipo del bomber spietato

Di Lorenzo Latini -Concedeva poco, pochissimo all’estetica, Gerd Müller: era un autentico predatore dell’area di rigore, capace di segnare più o meno con qualsiasi parte del corpo. Senza coordinazione, con un gluteo o grazie a un rimbalzo fortunoso: quello che interessava a “Der Bomber” era soltanto buttare dentro il pallone. Pura pragmaticità teutonica. Basterebbero i numeri a raccontarlo: 788 partite ufficiali disputate, 730 gol. La leggenda del Bayern e della Germania Ovest è tra i pochi calciatori a vantare più gol che presenze (68 in 62 partite) con la maglia della sua nazionale.
È venuto a mancare la mattina di Ferragosto, all’età di 75 anni: l’ultimo respiro a casa sua, a Monaco di Baviera. Dal 2008 soffriva di una precoce forma di Alzheimer, che negli ultimi anni si era notevolmente aggravata. La moglie Uschi, che si è presa cura di lui fino alla fine, qualche mese fa aveva detto che Gerd stava «dormendo verso l’aldilà». Domenica mattina l’ha raggiunto, e ci piace pensare che potrà rivivere all’infinito quella zampata con cui, nel 1974, mise al tappeto l’Olanda di Cruijff regalando il Mondiale alla Germania Ovest. Solo uno dei tanti sigilli pesanti nella carriera di un giocatore che è stato il prototipo del centravanti di rapina, capace di compensare una tecnica non invidiabile con un fiuto del gol che, perlomeno in Germania, ancora non conosce eguali.

La carriera

Se oggi il Bayern Monaco è una potenza a livello mondiale, il merito è anche di Müller che, assieme ai vari Sepp Maier, Bekenbauer e Hoeness, fece parte di un’autentica generazione d’oro. Quando, nel 1964, Gerd approdò nel capoluogo bavarese, la squadra era in seconda divisione: in panchina sedeva lo jugoslavo Zlatko Cajkovski, un esteta del calcio che inizialmente non si entusiasmò per questo attaccante sgraziato. Ma l’efficacia del futuro “Der Bomber” fu evidente già dalla prima stagione, culminata con la promozione in Bundesliga. Da quel momento in poi, Müller e compagni hanno dato vita agli anni d’oro del Bayern e della Germania Ovest. Quattro titoli nazionali, una Coppa delle Coppe, tre Coppe dei Campioni di fila (dal 1974 al 1976) e una Intercontinentale. In mezzo, anche la vittoria dell’Europeo del 1972 e del Mondiale casalingo, giocato due anni più tardi. Nel 1970 furono fermati dall’Italia nello storico 4-3 dell’Azteca, ma la doppietta siglata da Gerd contribuì a fargli vincere il Pallone d’Oro. Dopo il trionfo del ’74, a soli ventinove anni, il bomber decide di lasciare la nazionale. È ancora oggi il miglior goleador nella storia del Bayern e sul gradino più alto del podio anche per quanto riguarda le reti in Bundesliga (365). Nel 1979 si trasferì negli USA, ai Fort Lauderdale Strikers, e lì affronto l’ex compagno di tante battaglie, Franz Beckenbauer, che vestiva la maglia dei New York Cosmos.

Anni difficili

Nel 1981 appese gli scarpini al chiodo, cadendo però in una profonda depressione, che Gerd sfogò nell’alcol. Divenne totalmente dipendente dalla bottiglia, ma gli vennero in aiuto i suoi ex compagni del Bayern Monaco, nel frattempo diventati dirigenti del club. All’inizio degli Anni 90 Müller entrò a far parte dello staff tecnico delle giovanili bavaresi: fece l’allenatore, quindi il dirigente, sempre nell’ambito del vivaio. Nel 2011, durante un torneo giovanile a Trento, scomparve nel nulla: fu ritrovato quindici ore dopo, da una pattuglia della polizia locale, in evidente stato confusionale. La malattia divenne di dominio pubblico pochi anni dopo, quando Gerd fu ricoverato in un centro medico specializzato. Lui, che riusciva a liberarsi più o meno di qualsiasi marcatura, non ha potuto ingannare l’Alzheimer con uno dei suoi celebri contromovimenti. Domenica mattina si è spento, e tra le migliaia di messaggi di cordoglio non poteva mancare quello di Rudi Völler: «Ovviamente – le parole dell’attuale dirigente del Bayer Leverkusen – è stato un modello come attaccante per me. È un giorno triste per il calcio, ma i successi di Gerd saranno ricordati per sempre».
Modello lo è stato davvero, per tantissimi attaccanti (non solo tedeschi) delle generazioni seguenti. I suoi movimenti li hanno studiati Raul e Pippo Inzaghi, Luca Toni e l’altro Müller, Thomas. Perché Gerd ha insegnato al mondo che non devi essere alto necessariamente 1,90 per essere letale nel gioco aereo; che non sempre avere un piede sopraffino basta. Ci vuole la chirurgia del movimento giusto e della zampata, seppure a due passi dalla porta: l’importante è buttarla dentro. Sempre.

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